Resto a Kharkiv perché Dio è lì

1 Settembre 2025

Resto a Kharkiv perché Dio è lì

Pavlo Honcharuk

Rimini, agosto, negli spazi del Meeting 2025 incontriamo un vescovo cattolico ucraino che vive praticamente a ridosso del fronte. Cosa lo trattiene in quel luogo dove ha le mani legate? Come riesce a perdonare? Nostra intervista.

«Un missile ci mette 39 secondi dal lancio all’esplosione, quando senti le sirene il missile ha già colpito. Se senti le sirene ringrazia Dio, perché vuol dire che per stavolta ti è andata bene». Ce lo ha detto con volto serio il vescovo ucraino Pavlo Honcharuk e a quel punto capisci che con lui puoi parlare solo di cose altrettanto serie, essenziali.

Innanzitutto qualche parola su di lui che è arrivato alla cattedra di Kharkiv-Zaporizhzhija a soli 42 anni, e che oggi regge una diocesi enorme (196.000 kmq), che comprende le regioni di Donec’k, Kharkiv, Dnipropetrovsk, Luhansk, Poltava, Sumy e Zaporizhzhija, in pratica tutte quelle attraversate dal fronte. Nel 2021 la diocesi aveva una popolazione di 15 milioni e mezzo di abitanti, che ora sono drasticamente diminuiti; la presenza dei cattolici latini è pari a un magro 0,3% ma lui persiste a vivere a Kharkiv, 40 km dal fronte, una delle città più bombardate: è lì per i suoi e per tutti gli altri, la possibilità di aiuto non ha confini.

Honcharuk: Sono nato nel 1978 nella regione di Khmelnickyj, nell’Ucraina centro-occidentale; ho fatto le scuole e il seminario a Gorodok. Da giovane prete ho lavorato a Kamjanec-Podilskyj, poi il vescovo mi ha mandato a Varsavia a studiare diritto canonico all’Università Stefan Wyszyński. In seguito, ho lavorato al Tribunale ecclesiastico, ho fatto il Difensore del vincolo nei processi di nullità matrimoniale, ero direttore della Caritas diocesana oltre a tenere incontri, conferenze e a fare il parroco a Dunaivci. Quando è iniziata la Rivoluzione della dignità sono rimasto accanto al popolo che difendeva i suoi diritti. Dopo lo scoppio della guerra ho visitato di continuo parrocchiani, amici e conoscenti, i militari al fronte, cercando sempre di portare aiuto alla gente. Poi nel 2020 papa Francesco mi ha nominato vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhija e dal 14 febbraio 2020 mi trovo lì. Oggi gran parte della mia diocesi è sotto occupazione.

Resto a Kharkiv perché Dio è lì

P. Honcharuk. (facebook)

Il fatto che la sua diocesi sia attraversata dal fronte rappresenta un grosso problema. Ha potuto conservare i contatti con le sue parrocchie?
Tutti i contatti sono interrotti. Non abbiamo più alcun rapporto con loro per non esporli a rischi. Sappiamo bene che sono nel mirino, controllati e non vogliamo che, se diamo loro qualche informazione, poi gli possano chiedere: «Come fai a sapere queste cose?». È capitato; perciò evitiamo ogni contatto con chi vive nei territori occupati.

E dunque, come si possono aiutare i fedeli di quelle zone? Non c’è alcuna possibilità?
Nessuna. Lo abbiamo comunicato al Vaticano, adesso è loro competenza, com’è prassi. Inoltre, abbiamo chiesto al nostro vescovo [cattolico latino] di Simferopol’ [Crimea] che se ne faccia carico; lui sta dall’altra parte del fronte. Come stiano tutti loro, non saprei dire.

А lei come vescovo cosa resta da fare per il suo gregge, viste le circostanze?
Da una parte è una cosa difficile, dall’altra è molto chiaro cosa resta da fare. Gesù Cristo ha detto: «Restate con me». E il mio compito è quello di stare con Lui.

Io sto lì perché Lui è lì, ed io sono suo amico. La mia presenza là, il fatto che resto in quel posto e faccio quello che posso e come posso è l’adempimento della mia missione. Poi il Signore vedrà Lui come servirsi di me.

Sostengo i sacerdoti che sono rimasti per stare accanto alla gente. Noi tutti sappiamo che la nostra missione è essere segno visibile della presenza di Dio, aiutando quelli che più soffrono col portare pane, abiti, con l’ascoltare, abbracciare, compatire, pregare insieme, celebrare i sacramenti; insomma abbracciamo l’uomo come possiamo, sia nella sua carne che nel suo spirito. Questa è la nostra missione. Il Signore si manifesta attraverso di noi, siamo il segno visibile della presenza del Signore.

Lei nel suo intervento al Meeting di Rimini ha detto che il perdono è una scelta, e al tempo stesso un’esigenza profonda dell’anima…
Perdonare, chiedere scusa e riconciliarsi sono tappe diverse. Il perdono riguarda solo me, lo faccio io. Scusare è quando colui che mi ha fatto del male viene a chiedermi perdono, e io lo devo perdonare. Infine viene la riconciliazione, ma questa non può venire da sola, senza i primi due passi. Non ci può essere riconciliazione senza perdono.

Il perdono è innanzitutto qualcosa da desiderare. Io, infatti, desidero ciò che sono, cioè il mio desiderio è l’ombra di ciò che sono. Dio desidera sempre la vita, Dio è amore. E quando io conosco l’amore desidero che esso sia; capisco cosa è bene, cosa è meglio.

Allora perché una persona compie il male? Perché è vuota nel suo cuore, è caduta in un buco, mentre se avesse conosciuto Dio agirebbe ben diversamente. E io le auguro di arrivare a conoscere Dio; desidero che abbia quello che le manca e per la cui mancanza agisce così male. Quando il diacono Stefano, come si racconta negli Atti degli apostoli, stava morendo lapidato vide i cieli aperti e disse: «Signore, perdona loro perché non sanno quello che fanno»: guardando il cielo vide quello che perdevano; desiderò che anche loro capissero cosa stavano perdendo.

Pertanto, il perdono è una mia scelta; l’amore è sempre una scelta, non è un sentimento, un’emozione. L’amore è una scelta, frutto della ragione e della volontà. L’amore è sempre qualcosa che scelgo e che dono. Amare è donare ciò di cui io stesso ho bisogno. Se la mia anima ha bisogno di Dio le do Dio; se il mio corpo ha bisogno di cibo, gli do del cibo. Ma se so che un certo alimento mi fa male non lo prendo, perché amare vuol dire scegliere ciò che è buono e non ciò che è cattivo. Ed oggi, quando guardo qualcuno e vedo che gli manca Dio non posso che desiderare che anche lui lo conosca.

Dunque si può perdonare anche quando il colpevole non si pente?
Certo! E sa perché questo è importante per me? Perché se non perdono, vuol dire che desidero il male dell’altro e il mio cuore diventa una prigione dove vorrei tenerlo rinchiuso con le catene della rabbia, dell’odio. In questo modo io do forza a questi sentimenti, li alimento con il ricordo, con l’autocommiserazione, con l’astio. In realtà il mio nemico non sta nel mio cuore ma se ne va a spasso tranquillo, mentre il mio cuore è una prigione oscura che divora me, io mi autodistruggo, perché il male è molto pericoloso.

Quando mi fanno del male c’è il grave pericolo che io ne venga contagiato, che diventi io stesso cattivo. Quando si suona una campana si sente il suono di campana. Allo stesso modo, quando si colpisce un cuore pieno di amore ne uscirà amore. Quando hanno trafitto il cuore di Gesù sulla croce, da esso è sgorgato sangue e acqua, e il soldato che lo aveva trafitto ha compreso; persino quando veniva trafitto il cuore di Cristo amava. Se cerco di preservare la mia umanità, la dignità di figlio di Dio, se sono un uomo, amo. Così, se qualcuno mi fa del male capisco che lo fa perché è vuoto, senza Dio e desidero che il Signore lo visiti. Quanto ad accettare il perdono dipende dalla persona.

Kharkiv

Kharkiv, gennaio 2024. (Astra)

Aleksej Naval’nyj dalla prigione scriveva che la cosa più importante era vincere l’odio in se stessi. Lei ha dovuto combattere questi sentimenti nel suo animo?
Se io perdono, se perdono i colpevoli di tanto male è perché Gesù Cristo li guarda dalla croce e muore per loro. E desidero la stessa cosa che desidera Cristo: che si convertano e vivano. Quando penso a questo e capisco i motivi per cui agiscono devo combattere la rabbia e l’odio dentro di me. Questi sentimenti li provo, non riesco a superare l’odio e la rabbia perché sono sentimenti potenti. Ma non devo lasciare che mi determinino, e l’unico modo per farlo è amare. Anche se so che sei una carogna – mi passi il termine – desidero che tu accolga nel tuo cuore ciò che ti può cambiare, perché tu smetta di essere uno strumento del male.

Che io nutra rabbia e odio è naturale, è una legge umana fatta dal Signore. Non posso semplicemente spegnere le mie emozioni, non posso spegnere la rabbia, perché Dio ha creato l’uomo in modo che lottasse per la propria vita. Ma non ho il diritto di lasciare che determinino le mie scelte. Faccio l’esempio dell’autobus: dentro ci può stare chiunque ma al volante dev’esserci l’amore. Questa è la scelta. Sappiamo quel che Dio dice, sappiamo perché succede tutto questo; il Signore ci ha spiegato in modo chiaro e netto perché avvengono certi processi e quale ne è la causa. Noi capiamo e sappiamo dov’è la fonte del male, e sapendolo, vogliamo invece quello che vuole Dio.

So che il prossimo ottobre lei accoglierà a Kharkiv un gesto giubilare per la pace e la speranza.
Sì. Dato che il 2025 è l’anno giubilare per tutta la Chiesa cattolica e non solo, a Kharkiv verranno dei piccoli gruppi per incontrarsi con la diocesi e al tempo stesso per esprimere la propria solidarietà con la gente che lotta per la libertà e la giustizia. Pregheremo insieme.

Lei crede che un gesto così semplice e di carattere squisitamente morale possa servire?
Quando una persona è in ospedale è contenta se c’è qualcuno al suo capezzale. La semplice presenza è già un grande sollievo. Non cura ma solleva.

Quando un popolo sta vivendo un momento difficile è prezioso se qualcuno gli porta la sua solidarietà, anche se non può fare altro, perché l’amore offre sempre qualche segno visibile. La presenza è appunto un segno di amore. Per questo i pellegrini verranno fin qui. Per la nostra gente sarà molto importante vedere che qualcuno la ricorda, che non siamo soli.

Come imparare a combattere il male e l’odio dentro di noi?
La vita è una lotta continua. Cristo stesso ci ha detto che bisogna entrare nel Regno per la porta stretta. E dunque è sempre una lotta, ma in che senso? Nel senso della scelta. Come devo comportarmi? Ho sempre varie possibilità, ma quale piace a Dio? Cosa dice il Signore? Scelgo questa cosa anche se non mi piace perché è giusta secondo Dio. Esistono tante verità alternative, ma è importante capire da chi sono affermate, è molto importante capire chi le sostiene. Se queste leggi sono affermate dal Signore, è lui che garantisce. Mentre le altre verità sono affermate dalla rabbia, dall’odio, dalla paura.

Per amare bisogna scegliere ciò che è giusto, non basta volere, bisogna che il pane sia pane. Ed io devo scegliere la verità. Per questo l’amore richiede grandi sforzi, una gran lavoro su di sé. È il prezzo della libertà.

L’esito dell’amore è la letizia, ma l’amore è un lavoro. Per poter amare bisogna essere coscienti di questo. E sapere chi sto ascoltando. Bisogna solo scegliere e agire. E questo comporta sempre del lavoro e degli errori. La perfezione non consiste nel non sbagliare ma nel sapere che non sono perfetto e che nonostante tutto non mi fermo e vado avanti.

I suoi fedeli cosa vogliono in cuor loro, in questa situazione?
Vogliono che i soldati russi tornino a casa, che tornino dai parenti e la smettano di ammazzare i nostri fratelli, le nostre sorelle. Provano un grande dolore, anche loro sentono odio e rabbia. Anche loro vorrebbero che tutto questo finisca, perché quel che accade oggi è fuori dal normale. Le persone, interiormente, lottano come possono, in loro tutto grida contro questa situazione. C’è odio, sì, la protesta grida con la voce dell’odio, del dolore, della rabbia. Gesù Cristo nel tempio si è arrabbiato e ha preso a sferzate i venditori. Tutto in me grida e pure nella gente tutto grida: basta! Ma nel profondo c’è la pace dove si vive in sicurezza, dove c’è stabilità, c’è giustizia.


(foto d’apertura: facebook)

Pavlo Honcharuk

Nato nel 1978, ha completato gli studi filosofici e teologici ed è stato ordinato sacerdote cattolico latino nel 2002. Nel 2020 è stato nominato vescovo di Kharkiv-Zaporizhzhia. In concomitanza con l’aggressione russa all’Ucraina, ha documentato gli attacchi su Kharkiv e ha assistito la popolazione collaborando anche con il vescovo ortodosso Mytrofan.

(foto Artur Hudenko)

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