19 Aprile 2025

Cristo è entrato a Sumy. Ed è Pasqua anche nella tormenta

Ioann Guaita

«Il Signore che va volontariamente incontro alla Passione per la nostra salvezza, Cristo, è il nostro vero Dio». La meditazione di un sacerdote ortodosso sulle distruzioni del nostro mondo e sulla vittoria di Cristo, sceso agli inferi nella notte di Pasqua e ogni giorno nell’abisso di ogni cuore umano.

La Domenica della Palme tutto il mondo cristiano ricorda l’ingresso di Gesù, come un mite profeta in groppa a un umile asinello, a Gerusalemme, in mezzo alle acclamazioni di bambini e gente semplice. La domenica della Palme di questo 2025, proprio mentre la gente si stava recando in chiesa, una bomba ha colpito il centro della città ucraina di Sumy. Pochi minuti dopo, quando erano in arrivo i primi soccorsi, una seconda bomba. Più di trenta morti, più di centoventi feriti: sia tra gli uni che tra gli altri, diversi bambini.

Come vivere la Pasqua in mezzo all’orrore e all’assurdo della violenza nei confronti di innocenti, dell’odio fratricida?

Purtroppo, non è il primo anno in cui la brutalità della realtà storica ci costringe a riflettere profondamente. Io sono un chierico della Chiesa ortodossa russa e questi eventi pongono un interrogativo molto serio sia alla mia coscienza di chierico che alla mia fede di cristiano. Perché davanti a queste barbarie non possiamo che porci una tragica domanda: dov’è la vittoria di Cristo sulla morte?

Ma il punto è che l’essenza stessa della fede cristiana sta proprio nel paradosso, espresso in maniera sorprendentemente sintetica dal tropario della Pasqua: «Cristo è risorto dai morti, con la morte ha calpestato la morte…». Anzi, si potrebbe dire che una sola parola di questa breve frase esprima tutta la nostra fede: questo complemento di mezzo «con la morte». Cioè, per vincere la morte Egli non ha cercato di fuggire ad essa, ma le è andato incontro, ha abbracciato la morte.

Tutti e quattro gli evangelisti sono unanimi nel mostrare che, ancor prima di entrare a Gerusalemme, avvicinandosi alla città Gesù è triste, turbato, dice chiaramente agli apostoli che li aspettano giorni duri. Insomma, va coscientemente verso la morte.

Nella Chiesa ortodossa, tutte le celebrazioni liturgiche della settimana santa terminano col congedo che pronuncia il sacerdote: «Il Signore che va volontariamente incontro alla passione per la nostra salvezza, Cristo, è il nostro vero Dio. Per le preghiere della sua purissima Madre e di tutti i santi abbia misericordia di noi e ci salvi, Lui che è buono e amico di ogni uomo». Gesù Cristo è andato volontariamente e con piena coscienza verso la morte.

Se, da un punto di vista prettamente umano, consideriamo la vita terrena dell’ebreo Gesù di Nazareth, e soprattutto il suo epilogo, non possiamo che concludere che è stata un fallimento, un fiasco totale. Il racconto evangelico non assomiglia per niente a una fiaba a lieto fine in cui gli eroi, dopo qualche peripezia, «si sposarono e vissero a lungo felici e contenti»… Gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, secondo la testimonianza proprio di coloro che lo amarono e lo seguirono, furono una tragedia.

Proprio alla fine della storia che ci raccontano gli evangelisti, il Maestro di provincia entra in pieno conflitto con l’establishment religioso del suo tempo, l’alto clero e la nomenklatura della capitale. Viene condannato sia dalla gerarchia ecclesiastica che dal potere politico. Quanto ai suoi più vicini amici e sostenitori, uno lo tradisce, un altro lo rinnega, tutti gli altri lo abbandonano, scappano e si nascondono…

Poi il processo, la flagellazione, la corona di spine, l’ironico mantello di porpora, la crocifissione. Poi la morte vergognosa, fuori dalle mura della città, una morte da rinnegato, eretico, maledetto da Dio. E la cosa più terribile, anche il Padre sembra averlo abbandonato. Quel Padre, dell’unità col quale Gesù era sicuro fino a poche ore prima: «Io e il Padre siamo una cosa sola», «Chi ha visto me, ha visto il Padre», «Voi mi abbandonerete tutti. Ma io non sono solo perché il Padre è con me»… Ma quel Padre si mostra tremendamente lontano quando, sulla croce, Gesù gli grida: «Perché mi hai abbandonato?». Quel Padre non scende a toglierlo dalla croce.

Eppure, tutto l’annuncio pasquale sta proprio in questo: «con la morte» Egli ha vinto la morte. Le è andato incontro, l’ha abbracciata. E in questo modo l’ha sconfitta. È questo il cuore del cristianesimo.

Cristo è entrato a Sumy. Ed è Pasqua anche nella tormenta

(Astra Telegram, DSNS Ukrainy)

Perciò anche la tragicità dei nostri giorni, l’assurdità della violenza disumana, ingiusta, gratuita, inutile, sacrilega, cui assistiamo attoniti, si iscrive in questo paradosso fondamentale del cristianesimo. Cristo ha preso su di sé anche questi eventi orribili, è andato incontro ad essi volontariamente. Come allora è entrato a Gerusalemme, andando coscientemente incontro alla morte, così oggi Cristo entra a Sumy e in ogni città distrutta dalle bombe e dai carri armati, dalla violenza, dall’odio e anche semplicemente dall’indifferenza. Egli entra anche in quella città distrutta che è il cuore di tanti uomini e donne, tristi, affranti, attoniti per quanto succede.

In questi tempi spesso viene da chiederci se vedremo il cambiamento, se la guerra e la violenza finiranno, se i popoli fratelli ritorneranno a essere tali. Ovviamente lo possiamo e, direi, dobbiamo sperare con tutta la speranza di cui siamo capaci. Ma è lecito domandarci se vivremo abbastanza per vedere il mondo tornare ad essere quello di prima, o se lo spazio della nostra vita individuale non sia più corto di quello della barbarie.

Io personalmente sono convinto di sì. La storia umana conosce tanti tornanti che possono arrivare nei momenti meno prevedibili. In ogni caso, anche qui, la Resurrezione del Signore non è la «quiete dopo la tempesta», né l’happy end imprevisto di un film tragico, o un’incerta appendice gioiosa di una storia triste. Ancora una volta non dobbiamo dimenticare il tropario della Pasqua con la sorprendente verità che ci trasmette con quella sola parola: è esattamente con la morte, e non dopo di essa o al di là di essa, che Cristo ha vinto la morte.

L’unica icona canonica della Risurrezione nell’Ortodossia è quella della Discesa agli Inferi. Innumerevoli testi liturgici orientali e, di seguito ad essi, l’intera iconografia pasquale illustrano che, scendendo agli Inferi, Cristo ne infrange le porte sbarrate e libera ogni essere umano che vi era tenuto prigioniero. Penetrando in essi, Cristo schiaccia e annienta definitivamente gli Inferi.

Lo testimonia la meravigliosa Omelia pasquale di Giovanni Crisostomo, letta nella notte della Risurrezione in ogni chiesa ortodossa: «Cristo è risorto e non c’è più nessun morto nella tomba! Perché Cristo, sollevandosi dai morti, è diventato la primizia di tutti i dormienti!».

Alcuni testi liturgici antichi alludono all’idea che Cristo si sia «lasciato divorare», offrendosi come cibo agli Inferi. Ma, penetrando nelle loro viscere, li ha «amareggiati» ed essi non hanno potuto trattenerlo. Rigettandolo, gli Inferi hanno «rigurgitato» anche tutti coloro che sedevano nell’ombra della morte. Troviamo tracce di quest’idea sempre nell’Omelia del Crisostomo:

«…Nessuno pianga la sua povertà,
poiché il Regno è apparso per tutti;
nessuno lamenti le sue iniquità,  
poiché il perdono ha sfolgorato dalla tomba;
nessuno abbia paura della morte,
poiché la morte del Salvatore ci ha liberati!

Ha spento la morte
Colui che ne era stato prigioniero;
ha incatenato gli inferi
Colui che è disceso agli inferi.
Ha amareggiato gli inferi
che avevano gustato la sua carne.

Lo previde Isaia che esclamò:
“Gli inferi furono amareggiati
quando Tu giungesti nelle loro profondità”.
Furono amareggiati, perché aboliti! 
Amareggiati, perché derisi!
Amareggiati, perché uccisi!
Amareggiati, perché rovesciati!
Amareggiati, perché incatenati!

Essi presero un corpo, ma si trovarono davanti a Dio,
presero la terra, ma incontrarono il cielo,
presero ciò che vedevano, ma caddero per ciò che non potevano vedere!

Dov’è, o morte, il tuo pungiglione?
Dov’è, o inferi, la vostra vittoria?
Cristo è risorto e voi siete stati precipitati!
Cristo è risorto e i demoni sono caduti!
Cristo è risorto ed esultano gli angeli!
Cristo è risorto e la vita trionfa!
Cristo è risorto e non c’è più nessun morto nella tomba!
Perché Cristo, sollevandosi dai morti, diventò la primizia di tutti i dormienti!

A Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen».

Dunque, vedremo la fine della guerra in corso? Cesserà mai nel mondo la violenza dell’uomo sull’uomo? Credo di sì. Credo però anche che Cristo ha già vinto guerre, violenza e morte: le ha già «calpestate», entrando, come a Gerusalemme, anche a Sumy e in ogni città distrutta dalla guerra. Scendendo, come agli Inferi, nell’abisso di ogni cuore umano.


(foto d’apertura: Astra Telegram, DSNS Ukrainy)

Ioann Guaita

Padre Giovanni Guaita è ieromonaco della Chiesa ortodossa russa. Nato in Sardegna, ha compiuto gli studi in Italia, Svizzera e Russia. Studioso del cristianesimo orientale (è autore di testi sulle Chiese russa e armena), ha vissuto per quasi 40 anni a Mosca, dove ha frequentato p. Aleksandr Men’, ha completato i propri studi teologici e insegnato in diverse università. Dall’inizio del conflitto russo-ucraino si è espresso contro la guerra. Da qualche mese esercita il suo ministero a Parigi.

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