20 Giugno 2023
Oleg Orlov: restare in Russia fa parte del mio lavoro
Oleg Orlov, co-presidente di Memorial, è sotto processo per essersi espresso contro l’aggressione russa all’Ucraina. Diversamente da altri attivisti, ha scelto di rimanere in patria, perché «è importante che giunga una voce dalla Russia».
L’8 giugno si è svolta a Mosca la prima udienza del processo a carico di Oleg Orlov, co-presidente di Memorial e figura di spicco tra i difensori dei diritti umani nella Russia attuale.
Da quando è iniziata la guerra contro l’Ucraina, l’attivista ha fatto vari picchetti solitari di protesta, il primo dei quali il 20 marzo 2022 davanti al Teatro Bol’šoj, proprio un paio di settimane dopo l’entrata in vigore dell’articolo 20.3.3 del Codice degli illeciti amministrativi, il quale regola la responsabilità civile per «azioni pubbliche volte a screditare le forze armate federali», e prevede sanzioni amministrative da 30mila a 1 milione di rubli. Inoltre, se l’«illecito» è ripetuto nel corso di un anno – come nel caso di Orlov – da civile passa a penale e viene applicato l’art. 280.3 c.p. che prevede pene sia pecuniarie sia detentive fino a 3 anni. Nell’accusa di «reiterato discredito» rientra per Orlov anche la pubblicazione sulla sua pagina Facebook dell’articolo Volevano il fascismo e l’hanno ottenuto, scritto per la rivista online francese Mediapart.
Nel suo duro intervento Orlov riflette su presente e futuro della Russia e dell’Europa, dà una sua interpretazione delle ragioni che hanno portato alla guerra e giunge alla conclusione che lo Stato russo ha caratteristiche fasciste e rappresenta una minaccia per tutti: «La guerra sanguinosa scatenata in Ucraina dal regime di Putin non si limita a perpetrare l’assassinio di massa degli abitanti e la distruzione delle infrastrutture, dell’economia e della cultura di quel paese meraviglioso», ma «è anche un duro colpo al futuro della Russia», dominata in questo frangente da «forze oscure», le quali dopo il crollo dell’URSS «hanno sognato una rivincita totale e a poco a poco si sono impadronite del paese» che, dopo aver abbandonato il totalitarismo comunista, oggi «è ripiombato nel totalitarismo, stavolta fascista».
L’«aspirazione all’impero, all’uomo forte, al mito di Stalin» è presente per Orlov in diversi strati della popolazione, sia al vertice sia in chi «non ha nemmeno il bagno in casa». Perciò la guerra è diventata «un grande obiettivo unificatore», «l’opposizione è stata spazzata via e ciò che restava delle libertà è stato liquidato (…). I “vertici” e le “masse” si sono uniti nell’estasi del “patriottismo” e dell’odio per l’Ucraina indipendente».
Tuttavia, come all’epoca del totalitarismo comunista, anche oggi sopravvive «una minoranza che cerca di reagire, un movimento che si oppone alla guerra, con i suoi prigionieri politici e i suoi eroi». «I difensori dei diritti umani continuano ad operare praticamente nella semiclandestinità: danno assistenza legale ai cittadini che vogliono evitare la mobilitazione e la chiamata alle armi, stilano gli elenchi dei prigionieri politici, procurano loro gli avvocati, forniscono assistenza giuridica e umanitaria ai rifugiati provenienti dall’Ucraina e fanno in modo che possano entrare in Europa».
E a proposito di Europa, concludendo l’intervento Orlov ne sottolinea la responsabilità: «Molto dipende dai paesi dell’Europa centrale e occidentale. È del tutto naturale che ogni persona sana di mente preferisca la pace alla guerra. Ma una pace a qualsiasi prezzo? In Europa si è già cercato una volta di mantenere la pace tentando di rabbonire un aggressore. Il risultato catastrofico di quei tentativi è noto a tutti. E oggi una Russia fascista e vittoriosa diventerà inevitabilmente una seria minaccia per la sicurezza non solo dei suoi vicini ma anche di tutta l’Europa».
Nato il 4 aprile 1953 a Mosca, Oleg ha vissuto in un ambiente familiare ricco di dibattiti e discussioni politiche, da quando il padre, dopo la denuncia del culto della personalità dei crimini staliniani al XX Congresso del PCUS (1956), aveva assunto posizioni anticomuniste iniziando a ricevere in casa gli attivisti del dissenso: «Nella nostra cucina, tipicamente moscovita, girava sempre un sacco di gente, conoscenti, amici, c’erano conversazioni politiche, discussioni, e naturalmente spesso si ascoltavano le canzoni dei cantautori [underground]».
Biologo, Orlov ha lavorato all’Accademia delle Scienze dell’URSS. Nel ’79, allo scoppio della guerra in Afghanistan, si era costruito un rudimentale «poligrafo a gelatina» con cui stampare volantini da lasciare negli androni e nelle cabine telefoniche, appelli contro la guerra o riflessioni sulla situazione in Polonia e sulle attività del sindacato informale Solidarność. Tuttavia ha preferito non coinvolgersi di persona con i dissidenti perché, pur stimandoli, pensava che la loro strada portasse «solo alla prigione».
Dall’88 è stato uno dei primi attivisti della nascente associazione Memorial, in cui ha ricoperto incarichi di responsabilità. Nei primi anni ’90 ha collaborato con il deputato Sergej Kovalev lavorando nella commissione sui diritti umani, alla revisione del sistema penitenziario e alla riabilitazione delle vittime delle repressioni.
Orlov è stato osservatore in molte zone di conflitti interni alla Federazione: Caucaso, Transnistria, Cecenia, dove ha partecipato ai negoziati per lo scambio di prigionieri. In particolare, nel giugno 1995 ha fatto parte del gruppo che si è offerto come ostaggio per garantire il rilascio di 1500 persone dall’ospedale di Budennovsk occupato dai separatisti ceceni.
Tra il 2004 e il 2006 è stato membro del Consiglio presidenziale per lo sviluppo delle istituzioni della società civile e dei diritti umani, e nel 2009 ha ricevuto il Premio Sacharov dal Parlamento europeo.
Sempre presente nelle aree «calde» della Russia, ha documentato le violazioni dei diritti umani durante l’aggressione alla Georgia nel 2008; nella crisi russo-ucraina 2014-2016 ha coordinato il lavoro di Memorial in Ucraina orientale.
Come pochi altri attivisti, dopo l’inizio della guerra ha preferito rimanere in Russia: «Ognuno decida per sé – ha spiegato in una recente intervista a TvRain: – la linea guida è quella di lavorare al meglio per il bene del paese e di coloro che soffrono per le azioni della nostra patria».
Il 21 marzo scorso la polizia ha perquisito gli appartamenti di Orlov e di altri collaboratori di Memorial nell’ambito di un’inchiesta sulla presunta «riabilitazione del nazismo» (nel database di oltre 3 milioni di vittime dello stalinismo raccolto da Memorial figurano 3 persone condannate per collaborazionismo con i nazisti durante la Seconda guerra mondiale). Lo stesso giorno Orlov è stato incriminato sulla base dell’art. 280.3.
Durante il processo ha preso la parola il giornalista e premio Nobel per la pace Dmitrij Muratov, nominato da Orlov seduta stante suo difensore aggiunto. Muratov ha chiesto la sospensione del processo in attesa che la Corte costituzionale si pronunci in merito all’articolo 280.3 del Codice penale, sulla base del quale sarà giudicato Orlov. Secondo Muratov infatti l’articolo sarebbe «finalizzato al raggiungimento dell’obiettivo occulto ed anticostituzionale di sopprimere qualsiasi forma di pluralismo politico e di dissenso», e la «severità della pena ha certamente un effetto deterrente sulla volontà dei cittadini di esprimere pubblicamente le proprie opinioni».
L’articolo in questione – anch’esso emendato l’anno scorso – inizialmente prendeva in considerazione problematiche economiche in epoca di sanzioni contro la Russia, e solo successivamente è stato modificato con l’introduzione della fattispecie del discredito nei confronti dell’esercito.
Dato che a Mosca non c’è lo stato di emergenza, Muratov ha concluso la sua arringa rimarcando che le restrizioni dei diritti e delle libertà ai sensi dell’articolo 56 della Costituzione in questo caso non sono applicabili. Infine, il 280.3 violerebbe il divieto della doppia condanna per lo stesso reato (articolo 50 Cost.).
Se Orlov – che manifestando esercitava pacificamente un suo diritto costituzionale – fosse condannato al carcere su queste basi, gli verrebbe inflitta una pena molto più severa di quella amministrativa prevista dall’articolo 20.3.3, e ciò limiterebbe notevolmente i suoi diritti. Di fronte a tali incertezze, Muratov ha chiesto – invano – che il tribunale presenti un’istanza alla Corte costituzionale.
Alla fine il giudice ha aggiornato il processo al 3 luglio prossimo.
«La nostra posizione è ben argomentata mentre l’accusa è ridicola, il giudice lo capirà e la stralcerà. Certo che sarò assolto, che dubbi ci possono essere?» – ha commentato Orlov tra il serio e il faceto in un’intervista a TvRain prima del processo. «Il mio compito – ha proseguito – è quello di contrastare il desiderio delle autorità di mandarci in prigione, e di mostrare che c’è ancora qualcuno che parla dalla Russia: penso che una voce dalla Russia sia molto importante, che sia decisivo sentirla, non solo la voce di chi se n’è andato, ma anche di chi è rimasto. E credo che questo processo offrirà l’opportunità di dire in pubblico ciò che molti russi rimasti in patria hanno paura di affermare».
(foto d’apertura: SOTA. Sul cartello: «Putin fuori di testa spinge il mondo alla guerra nucleare»)
Angelo Bonaguro
È ricercatore presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si occupa in modo particolare della storia del dissenso dei paesi centro-europei.
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