20 Novembre 2022
Voci dall’Ucraina / 5 / A Kiev è buio e freddo, ma…
Inizio di inverno al freddo e al buio nelle città bombardate. Gli ucraini stanno scoprendo la risorsa della solidarietà, un’energia che offre soluzioni concrete alle emergenze. Perché da soli non ci si salva. Cronaca della resistenza civile.
È il duecentocinquantaseiesimo giorno di guerra totale della Russia contro l’Ucraina.
Siamo al buio: di solito non abbiamo elettricità per sei-otto ore al giorno. Ieri sera, attraversando in metro il ponte sul Dnepr da cui di solito si gode un bel panorama della città illuminata, si vedeva buio pesto. Oggi siamo tornati a casa in auto al crepuscolo: senza la luce dei lampioni le case, gli alberi, la strada, tutto si confondeva nel fitto della pioggia e della nebbia. Verso sera, con questo tempo, si impara a distinguere cinquecento sfumature di grigio: dal cielo del colore di una goccia di inchiostro in un bicchiere di latte e dalle nuvole grigio-topo, ai profili color asfalto degli edifici lungo il Podol e all’oscurità color grafite impigliata nei rami degli alberi quasi spogli sulle colline.
Le principali scoperte di ottobre sono state i fornellini a gas da campeggio, con le bombole di riserva, su cui cuciniamo le uova al tegamino, riscaldiamo il cibo e l’acqua; e il termos da due litri: quando c’è l’elettricità facciamo bollire molta acqua tutta insieme, così abbiamo acqua bollente per le cinque ore successive. Una sciccheria! Quando manca la corrente in casa non c’è copertura per il cellulare o per internet, a volte neanche fuori. Perciò stiamo seduti a leggere con la torcia dei libri cartacei: oggi come oggi questo è un lusso! Un nuovo oggetto di interesse sono i generatori a benzina o diesel: non sarebbe mai successo in tempo di pace! La nuova immagine del luminoso futuro è una casetta di campagna con la stufa, dove rifugiarsi se, quando il termometro scenderà sotto lo zero, i russi bombarderanno definitivamente tutto e le fogne geleranno.
La guerra allarga gli orizzonti della concezione del mondo molto più di mille viaggi.
A giudicare dal comportamento dei troll del Cremlino, che in un ucraino storpiato cercano di fomentare sui social il malcontento contro il presidente Zelenskij che toglie la corrente, lo scopo principale del terrorismo energetico della Russia è spingere gli ucraini a insorgere contro le autorità. Ciò mostra una volta di più quanto sono ignoranti e male informati i governanti russi. Non c’è bisogno di istigare più di tanto gli ucraini a protestare: loro per storia e per tradizione sono già abbastanza critici verso qualunque potere. Ma adesso il consenso generale si esprime nella frase: «Faremo casino, ma dopo la vittoria». Non è uno slogan calato dall’alto ma la posizione condivisa dalla maggior parte degli ucraini. A bombardare ogni giorno le città ucraine sono i russi, perciò è al loro indirizzo che qui tutti mandano le proprie maledizioni.
Invece, all’interno del paese gli ucraini mantengono viva un’atmosfera calorosissima, a dispetto di tutti i problemi di riscaldamento. Alla TV consigliano non solo di rifornirsi di maglioni e borse dell’acqua calda, ma anche di prendersi in casa un gattino da abbracciare. Ci propongono di fare finalmente conoscenza e amicizia tra vicini. E hanno anche inventato un ottimo slogan al posto dell’invito a «tener duro»: «tenetevi stretti gli uni gli altri».
Qualcuno da abbracciare
In effetti è strano invitare qualcuno a «tenersi» senza indicargli a chi o a che cosa. Un conto è sentirsi soli, di notte, in mezzo alla steppa, esposta al vento che ti porta via, e tu cerchi di attaccarti con le mani ai fili d’erba secca che spuntano dalla terra, o con i piedi alla sabbia arida, o con il pensiero all’aria. Ma dire a qualcuno: «tieniti stretto a me, a noi, al mio fantastico termos, ecc.», è tutta un’altra proposta. Il mio sticker preferito su Telegram durante la guerra è un gatto aggrappato in un forte abbraccio alla spalla di chi lo ha salvato: proprio questo significa, secondo me, tenersi. Come qualcosa a cui ci si può aggrappare nella tempesta, si tratti di parole sincere o di un aiuto concreto.
Ricordo la parabola del buon samaritano che mi ha colpito da ragazzina, quella che spiega il comandamento «ama il tuo prossimo come te stesso». Il sugo della parabola è che un uomo non aveva capito questo comandamento e voleva delle precisazioni su chi amare e su chi fosse il suo prossimo. Allora Gesù gli aveva raccontato una parabola in cui mostrava che diventa nostro prossimo chi ci fa del bene. Perciò, fai del bene a chiunque, e avrai molti amici.
Per tutta la vita mi ha sempre accompagnato l’idea che se tutti aiutassimo come possiamo qualunque bisognoso che incontriamo sul nostro cammino, anche a noi arriverebbero aiuti da ogni parte, e in più ci sarebbero meno situazioni di bisogno.
Oggi sto osservando che la guerra e le calamità aiutano la società a fare dei passi verso questo cristianesimo autentico (non quello manipolato dai preti).
In Ucraina il principio del piccolo aiuto si moltiplica come una nuova regola sociale: magari dieci grivne, ma dalle; anche solo una patata, ma offrila.
Negli intervalli tra i telegiornali si invita a conoscersi e ad aiutarsi fra vicini; sui social i blogger organizzano spontaneamente delle raccolte a favore di vittime della guerra incontrate per caso, ognuno paga una «tassa» volontaria, che può essere una donazione alle forze armate ucraine, a delle organizzazioni di beneficenza, a rifugi per animali, a collette specifiche, e tutti cercano di condividere qualcosa con qualcun altro. Se i vicini ci regalano un sacco di patate, noi gli diamo delle scatolette. Io do alla portinaia dei libri perché non si annoi in mancanza dei social, e lei mi offre una violetta in boccio (la mia quarantunesima piantina in vaso!).
Alcune amiche che si sono stabilite in Europa mi portano dei regali che mi tirano su il morale e io mando il mio «contributo» a quelli che abitano nelle città vicine al fronte. Fissiamo lo sguardo sulla gente che ci sta attorno, e pensiamo: forse con questi vicini andremo insieme a fare legna, o cucineremo la zuppa su un falò vicino all’ingresso, in un calderone comune? Forse questo passante finirà proprio adesso assieme a me sotto gli attacchi dei droni iraniani? Forse rimarrò bloccata per una settimana in una stazione del metro assieme a questi passeggeri? È il momento di guardare ciò che nelle persone c’è di meglio.
Mi piace fare così. Non ho mai capito la filosofia del «fatti gli affari tuoi» e sono sempre riuscita a farmi coinvolgere nelle vicende delle vecchiette che chiedevano l’elemosina. Oggi essere attenti alle disgrazie altrui non sembra strano a nessuno. Non abbiamo più tempo per pensare: «Fra cent’anni raggiungerò i miei obiettivi nel tal campo, organizzerò una fondazione e aiuterò molti tutti insieme».
Possiamo aiutare adesso, senza tante precauzioni, perché domani potremmo morire ammazzati e cadere in un fosso con il nostro inutile borsellino. Può anche non esserci un domani, e non riusciremo ad amare noi stessi se non abbiamo mai amato l’altro.
Abbiamo cominciato davvero ad aggrapparci gli uni agli altri. Se non fosse per la morte, la distruzione e gli orrori disgustosi della guerra, si potrebbe dire che tutto questo ci ha resi più felici, o forse… la felicità arriverà più avanti, quando, dopo la vittoria, la costruiremo insieme. Intanto ci aiutiamo l’un l’altro non solo a sopravvivere, ma anche a permanere in questo calore interiore, pur in condizioni di emergenza.
Ecco, è tornata la luce. Ah, la forza dell’amore!
(Foto d’apertura: S. Ristenko, facebook)
Nastja Travkina
Laureata all’Istituto di cinematografia di Mosca, dirige la rivista Nož (Il coltello), e il canale telegram Nastiglo (Obiettivo raggiunto); cofondatrice dell’art-group bojemoj e del sito samizdat https://batenka.ru/autors/nastjatravkina. Ha un blog su instagram. Ha scritto il libro Homo mutabilis. Ha lavorato come scenografa al Teatro Bol’šoj di Mosca. Attualmente vive a Kiev.
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