18 Agosto 2020
Un popolo che si dà la mano
Il post-elezioni in Bielorussia ha portato alla ribalta un popolo che da decenni non si faceva sentire, acquiescente e demoralizzato. Oggi, davanti a un presidente che da macchietta si è mostrato cinico aguzzino, per i bielorussi è venuto il momento della dignità.
Da una parte c’è un regime – un dittatore – che se fino a qualche tempo fa dall’esterno poteva sembrare autoritario, ma tutto sommato paternalistico, home-made, in questi giorni si è rivelato spaventosamente cinico e sanguinario. Le sue armi restano quelle di ogni regime totalitario, un arsenale ben noto a chi ha vissuto nel blocco sovietico: totale rifiuto di ogni dialogo e mediazione internazionale, repressione, minacce, tentativo di scaricare le proprie responsabilità – in questo caso sul capo del Ministro degli Interni, Jurij Karaev, apparso in tv scusandosi per «i traumi subiti da passanti nel corso delle proteste»; un patetico tentativo di mettere in mostra qualche migliaio di «sostenitori», dipendenti statali racimolati in provincia sotto minaccia di perdere il posto e trasportati nella capitale con colonne di autobus; e infine l’appello al Grande Fratello della porta accanto, l’ultima arma di ricatto per far intendere alla popolazione che solo lui, «padre» della nazione, può garantire l’integrità e l’indipendenza del paese. Da parte sua, il Cremlino si è dichiarato disposto ad appoggiare militarmente l’«ordine costituito», ma, ci si chiede – con quali conseguenze all’interno della Russia?
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Giovanna Parravicini
Ricercatrice della Fondazione Russia Cristiana. Specialista di storia della Chiesa in Russia nel XX secolo e di storia dell’arte bizantina e russa. A Mosca ha collaborato per anni con la Nunziatura Apostolica; attualmente è Consigliere dell’Ordine di Malta e lavora presso il Centro Culturale Pokrovskie Vorota. Dal 2009 è Consultore del Pontificio Consiglio per la Cultura.
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