23 Agosto 2017
Segno di contraddizione
90 anni fa, dopo 10 anni di persecuzione totale, il capo della Chiesa ortodossa russa firmò una Dichiarazione di lealtà al governo che suscita ancora oggi dilanianti contrasti. Fu saggio o fu un tradimento? Risponde padre Zelinskij.
Il 25 ottobre 1917 si compiva un rivolgimento poi chiamato «rivoluzione d’ottobre», un punto di non ritorno per la Russia e per la civiltà umana. A un secolo di distanza la riflessione su di essa è ancora difficile, in Russia come in Europa.
Quasi un secolo è passato dal momento della pubblicazione della Dichiarazione del metropolita Sergio (Stragorodskij), che di fatto era il capo della Chiesa ortodossa russa all’epoca. Ma quell’atto si trova al centro, anzi al cuore delle discussioni sulla sua scelta. Due punti di vista, fermi ed irriconciliabili, si sono affermati. Quello ufficiale, espresso chiaramente dal momento in cui la Chiesa ha potuto parlare con la propria bocca (e non più con quella della Stato) afferma che il gesto del metropolita Sergio ha salvato la Chiesa russa dalla distruzione totale (così, il patriarca Kirill nella sua dichiarazione del 29 luglio 2017). L’altro dice invece che il documento di Sergio fu il bacio di Giuda alla Chiesa di Cristo.
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Vladimir Zelinskij
Sacerdote ortodosso (del Patriarcato di Mosca) è filosofo, teologo e traduttore. Dal 1991 vive in Italia, ha insegnato lingua e civiltà russa all’Università cattolica di Brescia e di Milano. Ha al suo attivo numerosi testi di teologia e spiritualità.
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