2 Gennaio 2016
Mosca: in piazza per difendere il parco. Ma non solo per ecologia
Morta l’opposizione politica, nasce la protesta civile. Frantumata in migliaia di piccole guerre. I cittadini si organizzano per difendere il quartiere, la città. È una scuola di responsabilità civica che sconfigge la mentalità sovietica.
La differenza sostanziale tra il clima sociale in Russia nel 2012 e nel 2015-2016 è che oggi la situazione sembra assestata su posizioni di saldo consenso: tutti sembrano avere fiducia incrollabile in Putin, amano la patria sopra ogni cosa, odiano l’Occidente in quanto tale e accettano l’ordine delle cose, anche se vuol dire crisi economica, sfascio del servizio sanitario, caos amministrativo. Ogni tanto c’è qualche sussulto protestatario di categoria, come quello di medici e paramedici dopo la chiusura degli ospedali, o quello dei camionisti dopo l’imposizione del nuovo pedaggio autostradale, ma nel complesso l’attesa «guerra tra il frigorifero (vuoto) e la televisione (che parla)» non ha avuto luogo, almeno per ora.
Intanto ci si chiede però, dove siano finite le decine, centinaia di migliaia di dimostranti che nel 2012 scendevano in strada con cartelli ironici nelle cosiddette «passeggiate della responsabilità». Hanno cambiato tutti idea? Sono emigrati? Hanno paura? Non esistono, che si sappia, dati precisi sulle partenze ma si sa che sono tantissime, una vera emorragia della classe media; e nemmeno esistono sondaggi credibili sulla paura, perché nessuno risponderebbe sinceramente a domande di questo tipo. Così accade che nello spazio pubblico non si percepisce più nessuna pluralità di opinioni; sembrano assenti il dissenso e la difesa attiva dei propri diritti.
Ma la realtà è ben diversa, nascosta sotto la propaganda dei mass media, che trascurano i piccoli fatti di protesta civile, cose di poco conto se prese una per una ma significative viste nel complesso. I cittadini protestano a piccoli gruppi per motivi diversi ma sempre molto concreti: non contro la politica del governo o la guerra in Siria, ma perché hanno chiuso il vicino ospedale, perché non possono più acquistare le medicine prodotte all’estero, o perché stanno distruggendo il parco sotto casa.
Lev Ponomarëv, un veterano dell’opposizione, ha affermato che al momento attuale nella sola Mosca esistono oltre duecento «punti caldi», ossia proteste di cittadini organizzate e a lungo termine, con picchetti e sit-in.
Un caso, esemplare, che ha fatto almeno un po’ di chiasso a Mosca, è quello del «Parco dell’amicizia», uno spazio di 51 ettari a nord-ovest del centro, creato nel 1957 in occasione del VI Festival mondiale della gioventù comunista, storico evento che fu per molti ragazzi sovietici il primo approccio con degli occidentali in carne ed ossa. È uno dei tanti parchi di Mosca, e non certo uno dei maggiori, ma quando nel luglio 2015 sono arrivati gli operai a recintare una porzione di 4 ettari, gli abitanti della zona, forse memori delle dimostrazioni del 2012, hanno pensato che non fosse il caso di far finta di niente. I cartelli appesi annunciavano la costruzione di un centro sportivo privato e loro, come prima cosa, hanno raccolto le firme e si sono rivolti ai deputati del consiglio di zona. È stata anche nominata subito una commissione di lavoro, e nel frattempo all’impresa è stato intimato di rimandare l’inizio dei lavori. Ma il costruttore evidentemente aveva appoggi in alto e in agosto i lavori sono cominciati comunque, con l’abbattimento degli alberi da parte di operai portati lì alle 6 di mattina su camion senza targa. La polizia, chiamata ripetutamente dagli abitanti, si è presentata solo molte ore dopo, quando ormai gli alberi ed il prato erano stati distrutti.
Così, mentre la polizia e gli OMON intervenivano a proteggere il trattore che allargava lo scavo del cantiere, è cominciato un braccio di ferro duro tra le forze dell’ordine e gli organi giudiziari da una parte, e un pugno di cittadini agguerriti dall’altra: a partire dal mese di agosto, fino all’inverno i dimostranti hanno stazionato ininterrottamente nel parco con un presidio fisso, che la polizia ha smontato più e più volte, ma che regolarmente è stato riposizionato. Neppure l’intervento di una trentina di picchiatori di una qualche «polizia privata», armati di guanti con spuntoni di ferro, è riuscito ad avere ragione della protesta, anche se in molti sono finiti all’ospedale.
Ma l’episodio non è significativo solo per questa resistenza e questo coraggio già insoliti, il fatto più straordinario e inusuale per un paese come la Russia, dove nella coscienza dell’uomo della strada è ben piantata l’idea che il singolo non può niente e lo Stato può tutto, è che questi cittadini si siano organizzati anche sul piano legale, abbiano studiato leggi e regolamenti, siano consapevoli di cosa hanno o non hanno diritto di fare. E naturalmente di cosa ha o non ha diritto di fare l’amministrazione pubblica. Quindi la loro non è soltanto una prova di resistenza fisica e psicologica, ma una vera scuola di azione civica.
Infatti, se poi si va a vedere il sito che il gruppo d’iniziativa ha creato, si scopre che non si tratta di una realtà isolata: a Mosca sono nati numerosi gruppi di autodifesa civica, da quello del quartiere centrale Krasnaja Presnja a quello del quartiere satellite di Golovino, per un totale di dieci macrozone. Ma non basta, nel sito sono enumerati anche gli obiettivi da difendere, dal che si deduce che la minaccia contro cui si mobilitano questi cittadini è lo strapotere di una speculazione edilizia o di un potere economico aggressivo e senza legge, protetto dall’autorità pubblica e dalle forze dell’ordine, che non rispetta nulla e nessuno pur di ottenere i suoi guadagni. Leggiamo sul sito che gli abusi riguardano: «parcheggi, garage, sicurezza urbana, condomini, sanità, educazione, parchi, sport, edilizia, commercio, mezzi di trasporto».
Non potendo o non volendo fare un discorso generale, che diventerebbe necessariamente politico, queste che si autodefiniscono «unioni di cittadini attivi e non indifferenti» si impegnano a intervenire nel concreto, là dove vivono. E cercano di farlo con intelligenza e lungimiranza in base a due direttive; la prima è quella di mettere a frutto l’impegno e la creatività di ciascuno in spirito di solidarietà. Leggiamo sul sito: «Cosa sei disposto a fare per la salvaguardia del parco?». E si offrono una ventina di possibilità: «Accorrere in caso di allarme per sms. Fare i turni di guardia. Trovare contatti coi giornali. Fotocopiare i volantini. Attaccarli negli androni dei palazzi. Offrire consulenza giuridica. Scrivere testi per la stampa. Mettere a disposizione la propria auto. Fare riprese sul posto…» e da ultimo «Portare tè caldo e cibo».
La seconda direttiva d’azione è più articolata, si tratta di una «Scuola di autogestione territoriale» che offre l’abc legislativo e amministrativo al cittadino che voglia impegnarsi come deputato nell’amministrazione locale: «Nel vostro quartiere cementificano il parco, abbattono gli alberi per costruire un centro commerciale, mettono i parcheggi a pagamento nelle strade secondarie? È possibile fare queste cose perché la maggioranza dei deputati municipali sono dei burattini della prefettura e del Comune di Mosca, non operano negli interessi degli abitanti ma negli interessi dei loro padroni. Se la maggioranza dei deputati fosse costituita da semplici cittadini indipendenti, interessati al bene del loro quartiere, tali iniziative verrebbero bloccate sul nascere».
Da qui la proposta di presentarsi alle elezioni municipali del settembre 2016, perché, dicono, basterebbero 5 o 7 persone indipendenti per ogni consiglio; la «Scuola di autogestione» intende rendere possibile questo progetto offrendo dei corsi formativi nei week end. E sottolinea che si tratta di «una possibilità assolutamente REALE di difendere il proprio quartiere». In questa sottolineatura sta tutto lo spirito di questa gente, che cerca uno spazio prossimo, concreto per agire e sentirsi protagonista della propria vita.
Tutto questo è in linea di collisione con la mentalità sovietica media, quella che così fortemente si riafferma oggi, e che sembra una costante inamovibile della mentalità russa. Gli attivisti del «Parco dell’amicizia» e i loro colleghi di altre zone dimostrano il contrario, la loro è una variante atipica dell’opposizione politica scomparsa nel 2012.
«Il Parco dell’amicizia non c’entra niente con l’ecologia – scrive il giornalista Nikolaj Epplé – È la storia dello Stato, per il quale l’uomo è solo un’insignificante rotellina, che ti arriva in casa. Chi esce e si oppone al cemento nel parco lo fa semplicemente perché degli estranei, senza chiedere permesso, sono venuti a distruggere i luoghi che ama. E gli abitanti della zona protestano contro l’illegalità perché capiscono che se non li fermano ora, domani gli entreranno in casa. Tra i difensori del parco non c’è neanche un attivista di professione, per ciascuno di loro è una storia personale, l’ultima personalissima goccia. Insomma, non c’entra l’ecologia, c’entra piuttosto la libertà. E qui, appunto, si apre una prospettiva: quella che si risvegli la coscienza civile da cui tutto comincia».
Anna Kondratova
Moscovita, laureata in sociologia. Ha seguito da vicino lo sviluppo del movimento d’opposizione in Russia. Giornalista e saggista.
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