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3 Febbraio 2016
La bellezza disarmata
Julián Carrón
La bellezza disarmata
Rizzoli, Milano 2015,
pp. 364, € 18
Questo libro è un invito forte e chiaro a percorrere senza paura la via della crisi per riportare la coscienza a se stessa, per capire di nuovo cos’è la fede e in questo modo poter rientrare in rapporto con la realtà. Questo percorso si articola, mi sembra, in tre momenti essenziali.
Il primo è capire le origini della crisi come unico modo per poterla affrontare: «Senza adeguata consapevolezza di ciò che accade, anche se prendiamo iniziativa… qualunque cosa noi facciamo non avrà incidenza reale. … aiutarsi ad avere uno sguardo vero sulla realtà, sulle circostanze che viviamo, è il primo gesto d’amicizia per vivere da uomini davanti ai bisogni del mondo» (p. 56). E l’origine della crisi – suggerisce Carron – è l’attacco all’io umano, «il collasso del senso di umanità», della capacità della ragione di misurarsi col reale, che si traduce in «una maggiore debolezza di coscienza… una debolezza non etica, ma di energia della coscienza» (p. 58).
Il secondo momento è riconoscere, o spesso riscoprire la fede come il fascino che la bellezza e la verità esercitano su di noi, cui il cuore anche più smarrito non può fare a meno di aderire, perché ne sente la profonda corrispondenza a sé. Il cristianesimo quindi non può essere una posizione culturale, un assenso intellettuale o un coinvolgimento emotivo, ma neppure una semplice morale o una tradizione imbalsamata. È un’esperienza di pienezza della persona umana, che è la condizione indispensabile perché la fede si comunichi, oggi più che mai.
L’ultimo elemento, infine, è l’atteggiamento che da tutto questo discende nel rapporto col mondo, e cioè la fiducia nella «bellezza disarmata» che, se presa sul serio, sconvolge radicalmente il nostro normale atteggiamento verso gli altri e ci chiede di abbandonare la paura, camminando perigliosamente ma sicuri sulle acque.
Questo libro, scritto in Occidente per noi occidentali, ha però una tale radicalità nel presentare il cristianesimo che lo rende anche uno strumento utilissimo per leggere la situazione russa e indicare i punti sui quali un effettivo scambio di esperienze e un effettivo lavoro comune potrebbero aprire prospettive impensabili per il superamento della crisi attuale. La crisi di cui sta soffrendo l’Occidente non è in effetti meno presente e meno forte nella cristianità ortodossa russa.
Oggi, esattamente come per noi, anche per la Chiesa ortodossa russa risulta estremamente difficile riconoscere la vera origine della crisi, tanto più dal momento in cui la Chiesa ufficiale avalla la tesi, tutta politica, che l’unico problema sia difendere la superiorità della propria tradizione, e che le difficoltà siano solamente esterne, prodotte da una generalizzata (e di per sé non spiegata) caduta della fede. Come da noi spesso tutto si riduce alle colpe (realissime) del fondamentalismo o di un laicismo culturalmente non meno aggressivo, così in Russia questa caduta viene sbrigativamente attribuita all’influsso corruttore dell’Occidente, esimendo così la Chiesa da qualsiasi doloroso esame di coscienza. Questa poca chiarezza sull’origine della crisi fa perdere di vista il fatto che il problema autentico è una caduta di umanità e del senso della vita, e impedisce di vedere che il complesso delle regole morali e dei canoni ecclesiastici così come sono stati ereditati dal passato, non è in grado di rispondere alla sfida del mondo.
Anche la natura originale della fede risulta in gran parte offuscata, poiché si tende a identificare la fede con l’appartenenza etno-culturale, con la tradizione intesa come bagaglio intangibile e già perfetto di riti e regole. Il problema è che questo bagaglio intangibile non ha niente da dire alla vita dell’uomo contemporaneo, sia esso russo od occidentale, non sa attrarre l’umanità, non sfida la ragione né la libertà. Ripartire dall’esperienza viva dell’incontro con Cristo è ciò che alcuni sacerdoti in Russia cercano di riproporre ai fedeli, sfidando l’opinione comune e remando contro un’enorme forza d’inerzia. Su questo punto si innesta un altro problema fondamentale dell’odierna ortodossia russa (e di certi settori del cristianesimo occidentale), che è il timor panico dei tradizionalisti di fronte alla libertà, guardata con infinito sospetto e quasi identificata con l’arbitrio; a monte di questa posizione sta una fortissima disistima per l’uomo e la sua capacità di aderire liberamente al bene, ma prima ancora una sottile sfiducia nel metodo scelto da Dio. E qui si arriva al punto chiave del libro di Carron: senza il rispetto assoluto per la libertà e senza una radicale fiducia nella forza di Cristo presente è impossibile accettare che il cristianesimo sia una «bellezza disarmata» che si propone all’uomo solo per il suo fascino. Questa auto spogliazione della Chiesa che rinunci alla tentazione del potere (anche a fin di bene) è in effetti la sfida più urgente per la Chiesa russa, oggi.
Marta Dell'Asta
Marta Carletti Dell’Asta, è ricercatrice presso la Fondazione Russia Cristiana, dove si è specializzata sulle tematiche del dissenso e della politica religiosa dello Stato sovietico. Pubblicista dal 1985, è direttore responsabile della rivista «La Nuova Europa».
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